“Sono rimasto l’ultimo barcaro”
Da Il Gazzettino di mercoledì 8 gennaio 2020 parlano di noi…buona lettura!
LA STORIA
Vittorio Pierobon
Prima del Tir c’era il burcio, la massiccia barca da trasporto che per secoli ha viaggiato per canali e fiumi del Veneto. Un bestione con capacità di carico di oltre 200 tonnellate che, quando andava bene e soffiava un po’ di vento, si muoveva a vela, altrimenti veniva trainata da una coppia di cavalli sulle due sponde del canale, ma spesso mossa lentamente dalla forza del marinaio che piantava un grosso remo del peso di 35 chili, lungo fino a 8 metri, nel fondale e spingeva facendo leva con spalla e torace, camminando da prua a poppa. Una volta a destra e una a sinistra per andare dritti. Fatica bestiale.
LO SFORZO
Un lavoro inimmaginabile oggi, con gravi rischi fisici, senza orario e senza giorni di riposo. Viaggi che potevano durare settimane o mesi. Equipaggio ridotto al minimo: il capitano, che di solito era anche il padrone della barca, e che il pomposo titolo lo aveva conseguito sul campo non certo in qualche scuola, un marinaio e un morè, il mozzo, spesso giovanissimo, e oberato da mille incombenze. Ma quello del mozzo schiavizzato era il primo gradino, la scuola professionale per diventare marinaio e forse un giorno capobarca.
MITO E LEGGENDA
Un mondo che sembra così lontano da quello dei giorni nostri, dove gli acquisti si fanno online e il trasporto è affidato ai droni. Eppure sono passati meno di sessant’anni da quando Riccardo Cappellozza, L’ultimo dei barcari, come titola Francesco Jori in un libro che una decina d’anni fa gli ha dedicato, è sceso dal suo burcio. Era il 1962. Lui non sapeva che stava calando il sipario sull’epopea della navigazione fluviale. Ma sentiva che, anche se era passato al lavoro in fabbrica alle Officine Galileo, idealmente era ancora a bordo del suo splendido burcio lungo 32 metri, realizzato con 800 quintali di legname pregiato, e che aveva una capacità di carico di 240 tonnellate. Cappellozza vedeva il suo mondo sgretolarsi e non voleva accettare che l’oblio presto cancellasse tutto. «Me go messo a rancurar tochi dee barche, racconta seduto in sala da pranzo nel suo appartamento a Battaglia Terme, l’antica capitale dei barcari, che nei suoi due porti ospitava fino a 65 imbarcazioni da trasporto. Gli anni sono già 88, gli acciacchi si fanno sentire, ma la mente è lucida. Il capitano Cappellozza ricorda tutto. Da quando a tredici anni è salito sul burcio del padre Adriano per fare il morè, il mozzo di bordo, a quando è diventato a sua volta paròn di una barca.
DURA LA VITA
Ricorda la dura vita di bordo: «A forsa de parar col remo, gavevo un callo enorme su a spala» e gli interminabili viaggi lungo il Po per portare trachite da annegamento e rinforzare gli argini del fiume dopo l’alluvione del ’51. Le pietre venivano estratte dalle cave sui colli Euganei e caricate sulle grandi barche. Il canale Battaglia, che da Padova va a Monselice, era un’autostrada d’acqua, intasata dai burci che trasportavano di tutto, e l’economia dei paesi che attraversava ne traeva grande beneficio, c’era lavoro per tutti: facchini, cavallanti (i conduttori dei cavalli che trainavano i burci), artigiani, fabbri, maestri d’ascia, cordari, tessitori di vele, fino agli osti che accoglievano i barcari durante le soste. Il sistema delle chiaviche, che consentiva di regolare le acque garantendo sempre il pescaggio sufficiente per la navigazione, era tra i più sofisticati per l’epoca. «Era il secondo canale navigabile d’Europa – certifica Cappellozza – pensi che è stato realizzato in soli 12 anni, tra il 1189 e il 1201. Quasi mille anni fa».
IL MUSEO
Una storia millenaria, appunto, che l’avvento del trasporto via terra ha quasi del tutto cancellato. La memoria resta ancora legata ai racconti orali dei vecchi barcari, ma soprattutto affidata al Museo della navigazione fluviale di Battaglia Terme, il capolavoro di Riccardo Cappellozza. L’ultimo dei barcari ha salvato il suo mondo, lo ha raccolto in uno scrigno che non ha uguali. Entrare nel museo è un’emozione, un salto indietro nel tempo, un ritorno agli inizi del Novecento ed anche prima. Si respira la vita dei barcari, si possono ammirare tutti i pezzi che componevano un burcio, tra cui un splendido argano vecchio di oltre 200 anni, e alcuni modelli di imbarcazioni in scala. Sono esposte le attrezzature per la costruzione e manutenzione delle barche, gli arnesi per la lavorazione dei legni.
REMI E CARTE NAUTICHE
Ci sono le carte nautiche, gli abiti da lavoro, i remi. Una ricostruzione minuziosa, frutto di un certosino lavoro di raccolta lungo i canali e i fiumi del Veneto e Lombardia. «La rinascita della civiltà dei barcari – spiega Maurizio Ulliana, presidente dell’associazione Traditional Venetian Boat, che ha in gestione il Museo – ha un anno preciso: il 1979, quando, un gruppo di studiosi e ricercatori, con l’aiuto della memoria storica di Riccardo Cappellozza, realizzò una mostra fotografica dedicata a Canali e burci. Quell’evento diede la scossa, fece capire il valore di quella civiltà e l’obbligo morale di non disperderla». Per vent’anni Cappellozza ha fatto incetta di reperti. «Contattavo i miei ex colleghi barcari, spesso barattavo copie del catalogo della mostra sui burci con pezzi originali. Poi la voce si è sparsa e altri venivano spontaneamente a portarmi qualcosa. Non sapevo più dove metterli. Mi è venuto in soccorso il Comune che mi ha consentito di usare i locali dell’ex macello come deposito».
LE AUDIOGUIDE
L’ex macello è diventato un museo, aperto al pubblico dal 1999. Ogni pezzo è stato restaurato e tirato a lucido da Cappellozza. Un santuario della navigazione fluviale che di anno in anno vede aumentare i visitatori. Il 2019 si chiude con oltre 7mila presenze, ma la svolta moderna impressa da Ulliana (audioguide, sito internet e collegamenti con i circuiti turistici), fa presumere una ulteriore crescita. Riccardo, l’ultimo dei barcari, fino a pochi anni fa era costantemente in museo. Come ai tempi in cui era mozzo, faceva tutto lui, dalla biglietteria alle pulizie e soprattutto da guida ai visitatori. Ora deve stare più tranquillo, ma non vuole sentire parlare di pensione e continua a sfornare progetti. A novembre, in occasione del ventennale del museo, è stato inaugurato il monumento alla navigazione: nove ancore, complete di catene e bitte, poste lungo il Canale a Battaglia. Un sigillo su una storia che Battaglia Terme, orgogliosamente, non vuole dimenticare.
(vittorio.pierobon@libero.it)
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